Spettacoli

Non so se in quel periodo quando mi arrampicavo sui palchi o mi facevo spazio fra la gente o venivo, raramente, ma discretamente evitato dietro le quinte da qualche artista “riservato, c’era l’intenzione, a posteriori, di realizzare con questa mostra e questo foto-libro, un reportage retrospettivo sugli spettacoli nella mia città. 

Forse nel mio cuore sotto, sotto, questo desiderio era latente ….(giusto per usare un linguaggio fotografico). Sicuramente avevo la convinzione e la consapevolezza che facevo un buon servizio per Sassari. 

Si assisteva, c’era nell’aria  qualcosa di nuovo in città che, a mia memoria,  non si era mai vissuto. Un periodo di intensa attività culturale che vedeva la nascita per alcuni,  e per altri invece, la maturazione di professionalità artistiche locali. C ’era  novità , voglia di fare, voglia di incontrarsi e confrontarsi, voglia di mettersi in gioco, voglia di rischiare; un periodo che, a mio parere, doveva essere  ricordato e , per dirla alla Roland Barthes , “erano stati e che realmente erano esistiti ” e che poteva essere rivissuto solo per mezzo dallo scatto fotografico.

 Fino ad allora la fotografia  era stato utilizzata per documentare il lavoro, i luoghi, le persone e le manifestazioni politiche e sindacali che si svolgevano a Sassari e nella Sardegna……..il che non è poco.

Però sentivo la limitatezza di questi confini, probabilmente per un innato senso dell’osservazione esterna, da un punto di vista non visibile, nato quando, appena adolescente, acquistai la mia prima macchina fotografica, Comet II della Bencini. Desiderata, in un primo momento per supportare, con la fotografia, la mia vera voglia di creatività e di comunicazione di emozioni che era il disegno e la pittura, ma che successivamente conoscendola, è diventata strumento principale appassionato e tal volta “ossessivo” ). Mi piaceva cogliere se non “rubare”, nelle persone, quell’attimo, quell’emozione, quella particolare espressione del viso, quel gesto, quella naturalezza che possono esserci solo quando si è “soli”, senza il condizionamento dell’occhio di cristallo chiamato obbiettivo.

L’emozione di aver colto “ l’attimo giusto”, l’istante che inesorabilmente non c’è più appagava la mia fatica e quell’attimo, quello scatto, così come una morte, si consumava nel momento stesso in cui veniva imprigionato negli alogenuri d’argento e non aveva bisogno del processo fotografico (sviluppo e stampa) per essere rivissuto. Stampa che si sarebbe col tempo consumata.

Questa naturale condizione me la dava e continua a darmela, l’essere umano e nello specifico lo spettacolo, la scena e tutto il mondo che gli gira intorno. In particolari situazioni era significativo cogliere momenti di lavoro dietro le quinte, degli addetti al montaggio delle scene, le prove degli attori e le fasi del trucco nei loro camerini .

Queste immagini rappresentate nella mostra e nel fotolibro sono la cernita di tutti gli scatti effettuati e degli spettacoli . Esse raccolgono i momenti più significativi della scena e del retroscena. Il visitatore/lettore, da un certo punto di vista, leggerà questo reportage come narrazione, o descrizione   fotografica, ma si sà, la fotografia non si presta alla catalogazione.

Questo lavoro  “dovevo” e “volevo” che si realizzasse.

“Dovevo”: 

per onorare la fiducia e il privilegio concessomi sia dall’ Amm.ne Comunale di Sassari di allora, per mezzo dell’assessore alla Cultura Franco Borghetto , poi diventato Sindaco e dal Sindaco Raimondo Rizzu, che dalle organizzazione culturali come e soprattutto, l’ARCI che con i suoi dirigenti di allora si inventavano “Sassari Jazz”, e l’AICS che in quel periodo mi incaricò di documentare il lavoro dei Tecnici Teatrali.

“Volevo”:

 per onorare tutti gli anni di lavoro del sottoscritto e condividere, che è il sentimento che mi ha mosso,  con la città il mio lavoro fotografico che prima nella giovinezza si consumava in quell’attimo e che adesso, con gli anni, ha bisogno di essere condiviso. 

Salvatore E. Masala

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